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Olio di palma : quali problematiche sul grasso più controverso e discusso degli ultimi tempi

Constatiamo negli ultimi anni una sempre maggior attenzione da parte dei giovani verso le questioni relative alla sicurezza alimentare. Tra queste una delle più discusse – forse la più discussa- è quella dell’utilizzo dell’olio di palma nei prodotti trasformati. A tal proposito si diffondono sui siti specializzati e suoi social network grandi apprensioni sui danni alla salute umana e all’ambiente che l’utilizzo di tale olio provocherebbe. Sono partite anche petizioni per bloccare il massiccio impiego del grasso vegetale  nei prodotti commercializzati in Italia, che hanno raccolto più di 114 mila firme.  
L’esistenza di tale olio, così come l’impiego all’interno di moltissimi prodotti, dolci e non solo, è da tempo nota, ma solamente pochi mesi fa, con l’introduzione della legge europea che impone di sostituire la  generica dicitura “oli vegetali”, con una più specifica voce, volta ad indicare l’origine dell’olio utilizzato, si ha preso coscienza delle dimensioni del fenomeno. Tra i produttori più “affezionati” all’impiego di tale prodotto spiccano molte aziende italiane, quali Ferrero e Barilla – Mulino Bianco.
La domanda che sorge spontanea ad ogni consumatore venuto a conoscenza del largo impiego di quest’olio da parte di aziende così prestigiose, ma più in generale da parte di praticamente tutte le aziende produttrici biscotti, snack, grissini, merendine, etc… è: “perché non conosco quest’olio?”.
La risposta al quesito è semplice ed evidente quanto la spontaneità della domanda, ovvero: non esiste centro commerciale, alimentari o norcineria disposta a mettere in commercio, per il grande pubblico, un prodotto che, per quanto economico, non comprerebbe nessuno.
Dal punto di vista nutrizionale l’olio di palma, infatti, è considerato dagli esperti tra i peggiori esistenti e un commercio al dettaglio del prodotto porterebbe pochissimi acquisti  sia per via delle bassissime qualità nutrizionali, sia per mancanza di sapore del prodotto.
Il largo impiego da parte delle aziende produttrici può essere quindi facilmente ricondotto in primo luogo al bassissimo costo, tale da portare maggior guadagni agli imprenditori che decidono di utilizzarlo nelle industrie. Poi ci sono gli altri motivi.
Una delle motivazioni che solitamente le aziende forniscono è la particolare consistenza dell’olio che porterebbe ad una strutturazione del prodotto “più cremoso” o anche “più friabile” per gli snack e i biscotti. L’utilizzo dell’olio di palma viene inoltre giustificato per via della sua particolare insipidità, tale da rafforzare il sapore dei principali ingredienti.


Ma allora è dannoso per la salute?  
È bene sottolineare come dal punto di vista nutrizionale non si registrino ancora posizioni ufficiali da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità. Tuttavia, il punto di maggior criticità per la salute è riconducibile alla presenza di grassi saturi e dunque un consumo eccessivo porterebbe a problematiche di tipo cardiovascolare. Detto ciò, bisogna considerare che il suo uso è incrementato proprio per contrastare l’eccessivo utilizzo di margarina, prodotto che desta grandi preoccupazioni in relazione alla salute dei consumatori. I grassi saturi, inoltre, sono presenti in quantità maggiori in prodotti ben più diffusi e considerati oggi “accettabili”, come il burro o “meno accettabili”, come l’olio di cocco. I reali rischi, piuttosto, sono individuabili nei processi di idrogenazione, i quali creano grassi nocivi alla salute umana (i famigerati “grassi trans”).  È dunque in questa direzione, su queste problematiche, che dovrebbe essere indirizzata l’attenzione delle istituzioni con strumenti di controllo da parte di autorità ed aziende stesse (cosa che in parte già avviene).


Sostituirlo è possibile?          
Si, gli esperti dicono che la sostituzione è possibile, ma le alternative, come visto, non sempre possono essere migliori. Fondamentale, inoltre, è fare chiarezza sui reali benefici alla salute che la sostituzione di quest’olio, con uno considerato più “accettabile” comporterebbe. Secondo alcuni esperti (come emerge dalle ricerche affrontate dalla Fondazione Veronesi) tali benefici sarebbero reali solamente in pochi casi. La sostituzione con altri oli (olio di girasole, di oliva, di soia) è stata sperimentata, come riportato dal sito internet della Fondazione Veronesi, ma senza sostanziali cambiamenti nel profilo lipidico. Sarebbe giusto quantificare quei “pochi casi” in relazione ai reali benefici per attrezzarsi dei mezzi necessari a trarre conclusioni che non siano affrettate o compromesse dall’onda emotiva scatenata da un improvviso interesse generale.


Danni all’ambiente
Se, dunque, non esistono pareri univoci sulla necessità di mettere al bando l’olio di palma (come chiedono i promotori della petizione) per motivi salutistici; esistono dati oggettivi che mostrano quanto siano devastanti i danni all’ambiente che il vastissimo utilizzo di tale grasso vegetale ha comportato – e comporta tutt’ora. Ancora oggi l’olio di palma è l’olio vegetale più utilizzato in assoluto al mondo e la continua estensione territoriale delle piantagioni sta provocando grandi danni alle foreste tropicali dell’Indonesia e della Malesia (che da sole coprono il 90% delle esportazioni mondiali). Inoltre, altrettanto gravi sono gli effetti che l’ampio utilizzo di tale grasso vegetale sta avendo sulla fauna. La deforestazione sta distruggendo progressivamente l’habitat  naturale degli orangutang, specie considerata in pericolo e seriamente minacciata dall’industria dell’olio di palma.

Il problema non è recente e già nel 2004 alcuni tra i principali produttori, insieme ad ONG ambientaliste, hanno dato luogo alla RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil), tavola rotonda creata per porre un limite alla deforestazione e per la creazione di uno standard ambientale condiviso il più ampiamente possibile. Il logo Rspo fu successivamente introdotto sui prodotti contenenti olio di palma a garanzia del rispetto degli otto principi della tavola rotonda:

  • Impegno alla trasparenza
  • Conformità con leggi e regolamentazioni applicabili
  • Impegno a lungo termine sulla sostenibilità economica e finanziaria
  • Uso delle migliori pratiche appropriate da parte dei coltivatori
  • Responsabilità ambientale e conservazione delle risorse naturali e della biodiversità
  • Considerazione responsabile dei dipendenti, e degli individui e delle comunità colpite dai coltivatori
  • Sviluppo responsabile delle nuove piantagioni
  • Impegno al continuo miglioramento nelle aree chiave dell’attività

Nel 2012 solo il 14 per cento delle esportazioni di olio di palma aveva il logo RSPO, oggi, secondo i dati ufficiali, tale percentuale è salita al 18%, con 2.135 membri aderenti al RSPO. Tale quantità,  tuttavia, non risponde agli standard di adesione auspicati dalle principali ONG, tra le quali WWF, Greenpeace e Rainforest Action Network, che insieme hanno deciso di dare vita al POIG (Palm Oil Innovation Group), un gruppo che ha l’obbiettivo di sensibilizzare i governi e le imprese affinché si raggiungano standard civili di coltivazione e di sfruttamento delle risorse naturali ed umane, con un miglioramento delle leggi in vigore per la tutela  delle foreste tropicali.
Concludendo, allora, auspichiamo maggiori chiarezze sui rischi per la salute che l’impiego di tale olio possa comportare, da parte dei governi, ma anche dei produttori; magari implementando i test scientifici in questa direzione e chiarendo le eventuali  possibilità di sostituire l’olio con altri grassi vegetali, che tutelino la salute dei consumatori, anche a fronte di maggiori costi per le imprese. Inoltre, lanciamo un appello a tutti i consumatori (giovani o meno) a controllare sempre l’etichetta dei prodotti contenenti olio di palma e riscontrarne la presenza del marchio di certificazione RSPO, a tutela della propria salute e di quella del pianeta. 

 


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