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Tutti pazzi per lo street food

In questi anni abbiamo assistito all’esplosione di una sorta di mania collettiva: quella della cucina. Improvvisamente gli italiani hanno (ri)scoperto la passione per i fornelli: in rete nascono ogni giorno nuovi blog di cuochi dilettanti più o meno abili e i libri di ricette scalzano i romanzi dai primi posti nelle classifiche dei volumi più venduti. Per non parlare della tv. I palinsesti sono stati invasi da trasmissioni in cui si preparano invitanti manicaretti e chef fino a ieri sconosciuti ai non addetti ai lavori diventano star del piccolo schermo, in qualche caso persino dei sex simbol. Nella giungla dei vari programmi ad ispirazione culinaria si possono distinguere vari format: tra i più popolari – in particolare sugli spettatori più giovani - possiamo certamente includere quelli focalizzati sulla preparazione o sull’assaggio degli street food. Con il termine street food, letteralmente ‘cibo da strada’, si definiscono tutti gli alimenti e le bevande venduti da commercianti e banchetti in strada, fiere o mercatini. Questa tipologia di alimentazione è molto diffusa nei Paesi in via di sviluppo, dove per moltissime persone rappresenta la principale fonte di sostentamento, anche perché i cibi in questione sono facilmente reperibili, sostanziosi, economici e possono essere consumati rapidamente.

QUALCHE ESEMPIO - In India, ad esempio, si gustano samosa (sorta di ravioli fritti con verdure o carne), hyderabadi dum biryani (riso con carne o verdure) e puran poli (focaccia dolce), per le strade di Bangkok è facile trovare banchetti che vendano kao klut gapi (riso con pasta di gamberetti), geng gat plaa grapong (spigola al curry) e roti gluay (involtino dolce di banana) e in Brasile si mangiano spesso queijo coalho (spiedino di formaggio arrostito con spezie), pastel (raviolo fritto ripieno di carne e formaggio o formaggio e manioca) e acarajé (pasta di fagioli fritta e farcita con peperoncino, gamberi e verdure). Allo stesso modo in Egitto si consumano ingenti quantità di falafel (polpettine di ceci) e shami (panini arabi) con babaganoush (crema di melanzane e sesamo) o hummus (crema di ceci), mentre in Marocco i venditori ambulanti dispensano shebakia (pastella dolce fritta e caramellata nel miele), lumache, beghrir (crespella con miele) e khobz (pane marocchino). Ma street food non significa necessariamente cibo etnico. Anche in Italia, infatti, ci sono ottimi esempi di cibo da strada: basti pensare al panino con la milza tipico di Palermo, alla piadina romagnola o al panino con il lampredotto di firenze.

I RISCHI – Lo street food, però, nasconde anche qualche insidia. Prima di tutto dal punto di vista nutrizionale, visto che in alcuni casi il cibo da strada equivale a junk food, cioè cibo spazzatura. Non è raro, infatti, che gli alimenti che costituiscono lo street food siano ricchi di grassi e zuccheri. Ma il vero tallone d’Achille dello street food è la sicurezza: questi cibi, infatti, possono facilmente essere contaminati. I banchetti spesso sono esposti ad elevato inquinamento atmosferico (spesso, per esempio, sono situati in punti ad elevato traffico stradale), la conservazione e il trasporto degli alimenti utilizzati possono essere carenti dal punto di vista della sicurezza e c’è la possibilità che i cibi provengano da aree poco salubri o che siano stati sottoposti a trattamenti antibiotici o antiparassitarie. Inoltre bisogna considerare che alcune tipologie di cottura – come quella effettuata con gli idrocarburi aromatici o con l’acrilamide - possono incrementare la presenza di contaminanti.

PRECAUZIONI E ATTENZIONI – Come arginare allora questi rischi? Premettendo che dovrebbe essere il rivenditore a preoccuparsi di rispettare determinati criteri (come l’utilizzo di additivi alimentari consentiti, la conservazione dei cibi in contenitori appropriati e l’utilizzo di acqua che si conformi agli standard internazionali dell’acqua potabile), anche i consumatori possono adottare qualche piccolo accorgimento. E’ buona norma fare attenzione alla localizzazione del punto vendita (che dovrebbe essere situato al riparo da possibili sostanze chimiche presenti nell’aria, meglio se in un luogo chiuso ben aerato) e alla pulizia del luogo stesso (il punto di preparazione e di vendita dovrebbe trovarsi ad una distanza di almeno 15 metri dalla presenza di rifiuti). Inoltre il cibo in esposizione dovrebbe essere sempre coperto.

 



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